PIER FRANCESCO MAESTRINI
OPERA DIRECTOR

Pier Francesco Maestrini, regista!

Intervista al regista Pier Francesco Maestrini. Dal Jazz tutto lo stupore per la vita e l'opera.

Durante uno scalo in Italia diretto verso Berlino, il regista Pier Francesco Maestrini si è concesso per una piacevolissima conversazione telefonica per parlare di regia, teatro d’Opera, della sua passione per il Jazz, della sua “opera-cartoon” e del suo recente incarico di Direttore Artistico del Teatro Municipal di Rio de Janeiro. Figlio d’arte, scopre la propria vocazione per la regia lavorando “a bottega” col padre, il grande Carlo Maestrini da cui impara i segreti per la costruzione di spettacoli creativi e intelligenti ma sempre rispettosi del testo, della musica e delle intenzioni dell’autore.
Buona lettura

Buongiorno Maestrini, iniziamo da un pettegolezzo: mi dicono che le è musicista Jazz…
Sì è vero (sorride) ma è una cosa che ho messo da parte…

Immagino però che l’amore per la musica jazz resti dentro di lei e quindi questo abbia delle ripercussioni sulla sua attività registica…
Forse, io sono cresciuto in una famiglia molto “classica”. Forse tra gli anni Cinquanta e Settanta mio padre era uno dei registi d’opera più attivi, come Visconti e altri… Mio padre incarnava la “tradizione” nel buon senso della parola, non nell’accezione negativa. Ci teneva a “fare le cose fatte bene”, in maniera classica appunto. Questo non significava però rinunciare all’essere molto creativi, l’importante era non mai tradire lo spirito dell’autore. Quindi io sono cresciuto con questo padre, regista di tradizione, e con mia madre pianista classica. Io invece avevo un’attrazione verso la musica jazz, cosa che effettivamente ha influenzato anche il mio modo di lavorare.

La scelta di diventare regista come è nata?
Io ho sempre bazzicato il teatro fin da piccolino, seguivo mio padre durante gli spettacoli, perciò conoscevo il repertorio e ho visto come si costruivano. Ho acquisito sin da piccolo l’ambiente. Direi che sia stata una cosa quasi “automatica”, quanto mio padre si è trovato in difficoltà con problemi di salute ed ho iniziato ad aiutarlo ho visto che la cosa mi si confaceva. Così ho deciso di fare il regista e continuando a fare il lavoro che faceva mio padre: quindi la cosa è stata molto naturale nel mio caso…

Cosa l’affascinava quando da piccolo andava con suo padre?
Beh, io avevo una passione smodata per lui, per come riusciva a dirigere gli artisti in scena, per il suo modo di lavorare… mio padre era un teatro vivente, non usciva mai dal personaggio. Perciò anche in casa era tutto molto teatrale… (ride)

Ultimamente l’idendità del regista tende a prevaricare sulle identintà musicali nella costruzione di un evento d’opera oggi. Lei come pensa che sia giusto gestire la sua figura nell’economia di uno spettacolo d’opera? Qual è l’approccio giusto per essere un buon regista oggi?
Ovviamente non esiste un approccio “giusto”, dipende molto dalla persona. Io per esempio, amo questo lavoro e mi ci diverto ma non cerco un conflitto con il testo, non cerco di scatenare grandi reazioni. C’è chi porta all’estremo il rapporto col testo ed in questo modo cerca di scatenare certe reazioni nel pubblico; io no, a me piace divertirmi col testo e divertire il pubblico con quello che faccio. Parlando di “approccio” poi, mi piace molto il confronto con l’artista: intendo quelli con cui devo lavorare e naturalmente trovo molto importante il dialogo con lo scenografo e col costumista con cui si deve creare una sinergia importante. Per esempio prenda il mio lavoro dell’opera con i cartoni animati che ha preso piede negli ultimi anni. Ho realizzato questi progetti con Joshua Held: ci lega un’amicizia che dura da tantissimo ed è nata proprio per l’amore comune per la musica jazz, quindi in questo caso la sinergia è stata spontanea. Io e Joshua siamo cresciuti da adolescenti insieme, poi lui ha iniziato i suoi studi artistici e dopo quasi quarant’anni ci siamo ritrovati perché nel 2010 per la prima volta ho avuto la possibilità di fare uno spettacolo come volevo, con in cartoon appunto, e l’ho chiamato subito per lavorare con me! Con lui c’è stato un feeling particolare, perché ci conosciamo da veramente tanto tempo e abbiamo più o meno lo stesso senso dell’umorismo, ci divertiamo delle stesse cose… e per il repertorio brillante la nostra collaborazione ha funzionato a meraviglia!

Quali sono i rischi di portare in scena uno spettacolo del genere in cui i “cartoons” occupano interamente la situazione scenica in continuo dialogo con i personaggi in scena…
Come tutte le prime volte, c’è sempre il rischio che qualcosa non possa funzionare a dovere, non parlo tanto della gag ma della “trovata” tecnica. Dei tre lavori fatti fin’ora la cosa che lascia tutti a bocca aperta è l’interazione tra il cartoon e l’artista, cioè il cantante in scena. Bisogna stare molto attenti e ponderare come riuscire a creare una gag che non metta in difficoltà il canto e la musica ma che sia allo stesso tempo efficace sotto questo aspetto, cioè quello di rendere credibile il dialogo tra il cantante e ciò che avviene tra un’immagine animata. Molto spesso si tratta di “alter-ego” come nel Barbiere di Siviglia: c’è il personaggio in carne e ossa che si rifà al personaggio animato sullo schermo con il quale spesso “duetta”. In questo tipo di progetti la pre-produzione si rivela un lavoro importantissimo: si inizia molti mesi prima dello spettacolo e ci si sofferma su ogni singolo aspetto della messinscena. In modo particolare per Barbiere siamo partiti dai personaggi, in cui tutti erano ispirati alla figura rossiniana: era come se Rossini si fosse “travestito” con i panni di tutti…

Come entra, come inizia a pensare ad una regia d’opera, qual è l’inizio dello scavo nel testo della partitura o del libretto…
Dipende, per “Barbiere” siamo partiti dai personaggi perché abbiamo deciso di raccontarlo in questo modo partendo già dall’Ouverture; contrariamente nel Viaggio a Reims, dove non c’è un’ouverture, i personaggi sono davvero tantissimi e dove non c’è una connessione così stretta come nella trama del Barbiere… qui è servito un approccio del tutto differente. Dipende molto da quello che ci ispira la musica sentendo e risentendola, questo è stato il lavoro fatto insieme… vicino o a distanza abbiamo ascoltato, costruito e decostruito il plot… L’approccio al testo quindi varia ogni volta, nel caso del Viaggio in cui c’è più una “non-storia” che una trama vera e propria: si tratta solo di un’attesa di qualcosa che non succede ma che nel frattempo succedono altre cose, quindi non potevamo affrontare questo titolo come abbiamo fatto per Barbiere.

Sì vero, più difficile da rendere più credibile… a proposito, per rendere “credibile” uno spettacolo anche quando questo viene tolto dalle sue radici e dai suoi contesti soliti, come si riesce a tenere tutto insieme e dare una sorta di “verità” al pubblico, mi ricordo di un suo curioso Elisir ambientato nel country degli anni Settanta… ad esempio…
Penso sia la coerenza la cosa più importante. Partiamo dal presupposto che nelle opere brillanti è tutto più facile perché le trame non hanno particolari riferimenti storici o se questi ci sono spesso hanno un’importanza marginale, non si tratta di un’Andrea Chénier in cui siamo sempre nella rivoluzione francese… per cui nel repertorio brillante la vicenda è solo un pretesto per raccontare una storia e sviluppare delle situazioni divertenti che sviluppano temi universali. E’ relativamente facile decontestualizzare e portare la vicenda dove si ritiene che possa funzionare. Certe associazioni avvengono in base a quello che piace a ciascuno di noi, avvengono quasi in automatico: considerando che io parto sempre dalla musica essendo musicista mi rendo conto cosa possa avere i tempi comici o meno oppure come possa essere sfruttato alla creazione di una gag. Molte volte si tratta di una cosa immediata… a volte vedo un mio spettacolo e mi rendo conto che una situazione avrebbe potuto essere raccontata anche da un’altra prospettiva allora penso: “Ah, questa me la tengo per la prossima volta…” A volte non puoi usare tutto quello che ti viene in mente così lo tieni da parte

Spesso noto che per voler spettacolarizzare, coinvolgere di più il pubblico si pecchi spesso in un eccesso di idee che fermano il messaggio, disorienta il pubblico anziché coinvolgerlo. Mi sembra di aver capito che nei suoi spettacoli lei asciughi molto le idee e poi ne persegua poche o una…
Sì, oltre alla coerenza io penso che sia molto importante che lo spettacolo risulti comprensibile. Bisogna far sì che la persona esca dal teatro avendo capito apprezzato la vicenda. Se uno butta nel calderone troppe cose a casaccio rischia di distrarre da quello che si voleva dire. Invece è importante che il pubblico esca con le idee chiare su cosa si voleva comunicare. Di solito mi interessa che il pubblico possa seguire bene senza distrarsi… oggi è molto facile che questo avvenga, magari col telefono se ci si annoia… secondo me è una delle cose fondamentali.

Preferisce affrontare titoli brillanti o titoli drammatici…
…di solito mi faccio andare bene quello che sto facendo il quel momento. (Ride) Certo ci sono opere che ami e altre meno ma comunque ogni volta che affronto un progetto c’è sempre qualcosa di buono che emerge e questo sia in casi di titoli in repertorio e sia in caso di titoli “rari”… ci trovo sempre qualcosa di interessante.

Ha autori preferiti?
Sicuramente devo molto a Rossini… ma anche a Donizetti, Bellini… ma come si fa a rinunciare a Giuseppe Verdi ad esempio?… impossibile trovare un autore preferito. Magari ci sono titoli preferiti. Io per esempio sono molto legato ai due “Don”: Don Giovanni e Don Chisciotte. Mi piacciono molto perché sono due miti eterni entrambi che fanno parte di noi. Ognuno di noi infatti si è sentito a volte un sognatore come Don Chisciotte, oppure anche questo rapporto con Sancio mi tocca molto da vicino, e poi la musica di Massenet è magnifica… sono stato molto vicino dal farla ma poi ci sono stati dei cambiamenti e non ho potuto. In Don Giovanni invece, che ho avuto modo di farla, c’è questo aspetto del vampiro che io ho tirato fuori in modo molto netto in questa analogia tra il Don Giovanni e il Dracula di Bram Stoker.

Mi può parlare ora del suo ruolo di direttore artistico al teatro Municipal di Rio de Janeiro?
Ne parlo molto volentieri! Ora non so se ha seguito da vicino tutte le vicende del Brasile, che da potenza emergente, per gli scandali di corruzione è stato messo in ginocchio e naturalmente la prima cosa che ne soffre è la cultura. Il teatro Municipal è un teatro meraviglioso con una lunga tradizione si è trovato improvvisamente senza fondi. L’anno scorso le masse non hanno percepito gli stipendi per esempio, quest’anno nonostante le cose siano migliorate ci sono ancora molto problemi per la programmazione. Noi abbiamo comunque pensato ad una stagione piuttosto ricca della quale però abbiamo fatto solo l’inizio… l’idea è quella di riuscire ad aprire con collaborazioni esterne. Siamo riusciti a fare UN BALLO IN MASCHERA che era la mia versione fatta in Germania a Kiel che ho portato a Rio de Janeiro, era uno spettacolo abbastanza tecnologico con molte proiezioni e un’idea un po’ Matrix…

Per concludere, parliamo del jazz cosa le piace di questa musica, come e se l’aiuta in un lavoro così classico come la regia d’opera…
Beh il jazz ha sempre la capacità di sorprenderti! Io ho iniziato con la chitarra e chi lo pratica o chi lo ama resta affascinato dalla capacità dell’artista che sta suonando di sorprende con la sua musica. Questo fa colpo su di me: quando si “dice” qualcosa di nuovo e lo si dice in maniera personale, magari inventando un nuovo fraseggio, o forse è stile, questo perché ti tocca in qualche modo… E come regista, sicuramente la cosa che mi interessa è cercare di fuggire dai cliché ed è la cosa che io cerco di raggiungere in generale…

Quali sono i prossimi impegni?
Ho alcune riprese di Barbiere la prima sarà a Montevideo e Kiel in Germania e poi alla New York city opera, poi una Tosca da fare in Giappone e poi un Rigoletto a Cagliari a fine anno, poi Faust che mi interessa molto e poi spero che ci siano altre possibilità per altre nuove opere “cartoon”… una cosa che mi diverte molto è pensare ad uno spettacolo ex novo. E’ bello che gli spettacoli siano riproposti ma è una cosa troppo gratificante farne uno dall’inizio, ex novo appunto…

Augurandoci di vedere più spesso produzioni di questo maestro di teatro d’Opera soprattutto qui in Italia, non ci resta che ringraziare Pier Francesco Maestrini per la generosità con cui si è dato ai nostri lettori.

Davide Bisi per Fermataspettacolo, Agosto 2018
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