Elisir d'amore
Palazzo Pitti, Firenze 2016
Teatro del Maggio Musicale Fiorentino, 2017
La messa in scena è firmata da Pier Francesco Maestrini, con la collaborazione di Juan Guillermo Nova (scene), Luca Dall’Alpi (costumi), Bruno Ciulli (Luci). Siamo catapultati in quello che ci appare come un agglomerato rurale sperduto nel Midwest degli anni settanta. In fondo uno steccato di legno, fiori nelle aiuole, a destra una grande pompa eolica per estrarre acqua. Un cartello pubblicitario promette pollo fritto nel locale Da Adina. Nemorino deve attirare clienti vestito da gallo. Dulcamara è un tipo con pochi scrupoli; arriva a bordo di un macchinone nero con al seguito un ex (si spera) poliziotto munito di manganello e piccola squadra di ragazze ricche di promesse, con cappellone, micro hot-pants e ombelico scoperto. Il contenuto delle bottiglie di quello che dovrebbe essere elisir non è bordò ma bourbon, a detta dello stesso gran medico dottore enciclopedico in versione yankee. Belcore è a capo di un branco di soldati in mimetica e stivali che arrivano scandendo un coro marziale (purtroppo in netto contrasto col tessuto armonico di quel che segue). Intorno c’è di tutto: due Hare Krishna, cowboys, uomini in salopette e camicia a quadri, donne abbigliate in varie fogge, hippies, perfino un quartetto simil – Village People. Nel secondo atto siamo in una fiera di paese con banchino che promette baci – premio, toro meccanico, microfono per esibizioni canore. Il tutto gestito con indubbia professionalità, garbo, ironia, ritmo, grazie anche a un cast di cantanti attori scatenati nel raccogliere i suggerimenti del regista con gusto loro (almeno così sembra) e nostro.
- Silvano Capecchi per Operaclick -
“L’elisir d’amore” di Maestrini. Tra i rombi dell’auto di Dulcamara e la marcia di “Full Metal Jacket”
Coraggioso e divertente L’elisir d’amore di Pier Francesco Maestrini, che dà all’opera di Donizetti un’interpretazione di certo originale, portando la vicenda agli anni ’70 americani, ambientandola all’interno di un’atmosfera tra hippy e far west, tra figli dei fiori e tori meccanici da cavalcare. È qui che si muovono Adina, proprietaria dell’Adina’s road food, e Nemorino, che lavora per lei, facendo pubblicità travestito da pollo.
Le scene corali e di massa sono centrali in questa opera e già nel primo atto si mostra l’intera comunità in cui si svolge l’azione, dove l’estro del regista ha portato a immaginare Belcore in quanto sergente di un gruppo di Marines americani, che si presentano sul palco cantando la marcia di Full Metal Jacket di Kubrick – c’è qui da aprire subito una parentesi, l’originalità della messa in scena non si ferma infatti alla scenografia, ma ne va aldilà, inserendo suoni, melodie, canti, che da libretto e da partitura non esistono e questo citato ne è un caso eclatante, insieme alle sonorità emesse dalla macchina di Dulcamara, come del resto ai fuochi d’artificio finali.
Dulcamara si presenta infatti in scena con un’auto sportiva blu, vestito completamente di bianco, con tanto di panama, trasformando così quello che viene spesso identificato come una sorta di stregone in un abile venditore dalla facile parlantina.
A fare da contorno al melodramma vi sono inoltre degli abili figuranti, dalle capacità ginniche e danzanti di rilievo, che rendono il tutto ancora più dinamico (Si tratta di Elena Barsotti, Maria Diletta della Martira, Silvia Giordano, Gaia Mazzeranghi e Matteo Mazzucato).
Audaci anche altre scelte, tra cui l’amplesso amoroso tra Adina e Nemorino, con l’acuto finale della cantante che rammenta in modo palese il raggiungimento del piacere della protagonista. Una scelta che comunque s’inserisce nel clima di comicità e ironia generali.
Altra caratteristica complessiva della messa in scena è la sua qualità fumettistica, i personaggi infatti risultano volutamente ed esageratamente stereotipati, compiendo movenze e gestualità che si potrebbero ritrovare in un cartone animato – vedi per esempio Dulcamara, che mangiando i pop-corn li lancia in aria per gettarseli in bocca.
Ma vediamo da vicino le scene di Juan Guillermo Nova, impreziosite dal disegno luci di Bruno Ciulli, di certo particolari e interessanti.
Nel primo atto vediamo in lontananza un paesaggio campestre, in primo piano un palco rialzato su cui si muovono i personaggi, nonché dei lampioni, un’insegna luminosa stile America anni ’70 e una vecchia pompa di carburante. Bella e riuscita la gamma cromatica scelta da Luca Dall’Alpi per i costumi, dove le diverse tinte danno luogo a un’atmosfera variegata e color fantasia. Emerge inoltre il color giallo canarino di Nemorino, travestito da pollo. La scelta è riuscita dal punto di vista estetico e a livello tecnico aiuta a riconoscere il protagonista nelle scene di massa.
Nel secondo atto, aperto da figuranti travestiti da Village People, che danzano sulle note di Donizetti, la scena è quella della grande festa data in onore delle nozze tra Adina e Belcore, che poi non avverranno. Questa è dal sapore Pop Art, con la grande insegna luminosa dell’Adina’s road food sullo sfondo e con un toro meccanico posto al centro. L’insegna avrà un ruolo fondamentale proprio nel finale, quando l’uscita trionfale di Nemorino e Adina, finalmente sposi, sarà salutata dalle esplosioni e dai fuochi d’artificio proiettati proprio lì, facendo sì che si crei un’atmosfera gloriosa, che ricorda il finale del film Il Migliore con Robert Redford.
In definitiva, abbiamo assistito a un Elisir coraggioso e particolarmente comico ed ironico, contornato da una scenografia e da costumi dinamici e colorati. Certamente questo allestimento, prodotto dal Maggio, è risultato piacevole e a giudicare dagli applausi del pubblico, nonostante la sua originalità, non sempre apprezzata universalmente, la prospettiva di Maestrini è stata recepita nel migliore dei modi.
- Stefano Duranti Poccetti per Corriere dello Spettacolo -
Il divertente e chiassoso spettacolo di Pier Francesco Maestrini, che ha girato tra l'aperto del cortile di Palazzo Pitti e al chiuso del Teatro del Maggio, è destinato, come altri, a diventare una colonna della programmazione indicata con il nome “repertorio” nei cartelloni del teatro.
- Operaclick - Fabrizio Moschini -